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Ossitocina durante il travaglio: Un Nuovo Studio Riflette

Circa il 25% delle donne in gravidanza a termine sottopone il parto a un’induzione, avviato artificialmente. Questa procedura spesso coinvolge la somministrazione di ossitocina, un ormone che stimola le contrazioni uterine.

L’utilizzo di ossitocina per favorire le contrazioni è basato su diverse necessità contingenti, tra cui:

  • Gravidanza oltre il termine (oltre le 41+6 settimane);
  • Bassa quantità di liquido amniotico;
  • Patologie materne (ipertensione, diabete, malattie epatiche o renali, gravi psicosi…);
  • Patologie fetali (morte fetale, ritardi nella crescita, malformazioni…).

Uno studio recente, condotto in doppio cieco, ha esaminato la riduzione dell’uso di ossitocina durante la fase attiva del travaglio. I risultati hanno evidenziato che interrompere routine la somministrazione di ossitocina può aumentare il tasso di taglio cesareo.


Le 1200 donne partecipanti allo studio multicentrico sono state randomizzate e sottoposte a stimolazione con ossitocina per l’induzione elettiva del travaglio o dopo la rottura spontanea delle membrane prima del travaglio. Nel contesto della ricerca, il protocollo di stimolazione ha coinvolto un’infusione endovenosa di 10 UI di ossitocina diluita in 1000 ml di soluzione fisiologica isotonica, con un incremento graduale ogni 20 minuti fino al raggiungimento di contrazioni regolari.

Esaminando i dati delle donne assegnate a diversi gruppi – placebo con soluzione salina, trattamento con ossitocina e interruzione della stimolazione con il farmaco – emerge che coloro che hanno proseguito la stimolazione con l’ossitocina hanno registrato tassi di taglio cesareo significativamente inferiori rispetto agli altri gruppi.

In sintesi, in situazioni in cui è necessario indurre il parto con ossitocina, e in condizioni in cui è possibile garantire un monitoraggio accurato di madre e bambino, sospendere routine la stimolazione con ossitocina potrebbe comportare un aumento del tasso di taglio cesareo. Tale decisione, tuttavia, potrebbe ridurre il rischio di iperstimolazione uterina e di anomalie nella frequenza cardiaca fetale. Quest’ultimo aspetto potrebbe rivestire importanza, soprattutto in contesti in cui la supervisione ravvicinata della madre e del neonato può essere compromessa a causa di limitate risorse disponibili.